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Questioni energetiche
Di Caius - 02/12/2010 - Esteri - 1321 visite - 0 commenti

Questo postavo il 24/9/2009, senza i documenti, ridicoli, di Assange (Weakileaks)...Non mancano le tensioni tra Usa e Italia, in questi tempi, a motivo delle fonti energetiche. Si tratta della questione South Stream, il gasdotto voluto da Putin e Berlusconi, con il coinvolgimento della Turchia di Erdogan.

Questo gasdotto fa concorrenza al Nabucco, la pileline sponsorizzata da Ue, Usa e dalle repubbliche ex sovietiche. Nei piani Usa il Nabucco avrebbe dovuto sottrarre l’Europa alle dipendenze russe. Invece l’alleanza italo-turca- russa, crea grossissimi problemi alla supremazia energetica americana e dei suoi alleati, perché da una parte conferisce molto potere alla Russia, dall’altra rafforza Eni, tradizionale strumento della politica estera italiana. Il futuro dell’Europa è ancora così legato agli Usa, oppure, come sembra pensare l’Italia, gli interessi europei sono più vicini e complementari a quelli russi? Altre questioni in gioco: la politica estera dell’Italia non piace alla Casa Bianca, perché oltre al rapporto privilegiato con la Russia, vi è ora quello con la Libia, altro forte produttore di gas, con l’Iran, e persino con il Venezuela di Chavez. Neanche l’idea dell’Italia di tornare al nucleare, appoggiandosi alla tecnologia francese, è stata presa molto bene negli ambienti americani. Qui sotto alcune riflessioni sul tema, tratte dal sito www.sussidiario.net.

INT. Vittorio Emanuele Parsi venerdì 11 settembre 2009

Da un lato la Russia, con il progetto South Stream, il gasdotto che dovrebbe collegare la costa russa del Mar Nero, Bulgaria, Grecia, Ungheria, Serbia e Italia. Dall’altro l’Europa e l’America con Nabucco, il gasdotto che transiterebbe su Turchia, Bulgaria, Romania, Ungheria e Austria. A far da cornice, contrapposte strategie geopolitiche, il timore di perder terreno sulle rispettive sfere d’influenza e la necessità, per ciascuno, di non dover dipendere dall’energia prodotta in Paesi ostili. E in mezzo, come sempre, il nostro paese. L’Eni, infatti, intende appoggiare South Stream. Ed ora in molti accusano l’Italia di essere salita sul carro di Putin. Le cose sono un po’ più complicate, per la verità.

Un’idea più precisa la fornisce a ilsussidiario.net Vittorio Emanuele Parsi, esperto di questioni internazionali ed editorialista de La Stampa.

Perché Nabucco è fortemente caldeggiato dagli americani, in opposizione a South Stream?

Il progetto Nabucco si muove con l’obiettivo politico strategico di limitare la posizione monopolistica nella distribuzione del gas da parte di Gazprom, il colosso russo, posizione che ha assunto per la sua capacità di porsi come intermediario tra i produttori dell’area centrale e i compratori dell’area occidentale dell’Europa. Eppure in molti, a cominciare dal Financial Times, rinfacciano all’Italia di perseguire una politica energetica utile, più che altro, alle mire espansionistiche di Putin. Lo fanno proprio perché l’Italia fa buoni affari. Il problema è che, all’esterno, non sempre abbiamo dato un’immagine rassicurante. Questo consente a chi ha interessi economici competitivi con i nostri di usare queste argomentazioni. E gli interessi sono semplicemente quelli di compagnie energetiche che hanno maggior convenienza nel sostenere Nabucco.

Non è da temere la crescita del peso politico russo, in conseguenza della dipendenza dei Paesi europei dal gas che esporta?

Siamo in una situazione di interdipendenza tale per cui dipendiamo dal gas russo, come i russi dipendono dai soldi dell’Europa. Se chiudono i rubinetti all’improvviso, noi stiamo al freddo per due settimane; dopo due settimane e un giorno, al freddo stano loro, perché non hanno più soldi per fare nulla. Certo, in ogni caso, è auspicabile una politica europea comune del gas come scudo, qualora la Russia volesse usare il gas come arma. Ma non bisogna eccedere nel vedere foschi scenari. A volte ho l’impressione che questi scontri nascondano più le preoccupazioni di qualche cartello finanziario.

Le strategie energetiche non condizionano proprio in nessun modo la nostra politica estera?

C’è chi vede un eccesso di Eni nella politica estera italiana. Ora, l’Eni ha cospicui interessi in Iran, ad esempio. Ma questo condiziona forse la politica estera del governo italiano verso quel paese? No. Non ci siamo minimamente sottratti alle sanzioni contro il regime iraniano, abbiamo sostenuto le manifestazioni popolari contro le elezioni truccate e stiamo sostenendo l’inasprimento delle sanzioni. E in Russia, l’Italia non ha certo assunto una posizione meno critica nella questione georgiana rispetto ad altri Paesi. Siamo un Paese importante inserito nell’Unione europea e nell’Alleanza atlantica. Mi pare che diamo prova continua di essere uno dei paesi più leali alla causa occidentale. In ogni caso, l’Eni avrebbe potuto agire diversamente? Avrebbe potuto appoggiare Nabucco. Ma Eni, tradizionalmente, ha sempre cercato vantaggi per l’Italia, anche in una posizione eccentrica rispetto ad una comune europea. Si muove con molta autonomia rispetto ad una sinergia occidentale, ma se non ci fossero stati vantaggi economici, non sarebbe certo entrata in relazione con la Russia. Bisogna ricordare, poi, che due gasdotti paralleli, probabilmente, non solo non si riuscirebbe a riempirli, ma che forse sarebbero irrealizzabili, perché troppo costosi. E potrebbero avere problemi a funzionare a regime. La maggior parte degli investitori di Nabucco, infine, sono esterni alle aree in cui passano i tubi. L’Italia sta lavorando per ampliare la rete delle forniture, verso l’Algeria e verso il Caspio.

Perché?

 Il problema di dipendere troppo da un solo Paese è, prima di tutto, economico. Per una qualunque azienda è meglio avere più clienti, magari più piccoli, che uno solo ma determinante. C’è una convenienza, poi, nel cercare condizioni d’investimento buone e opzioni per lo sfruttamento dei giacimenti che siano meno costosi. In una situazione di forte logoramento politico, poi, potremmo essere noi, a quel punto, a decidere di disinvestire dalla Russia. È bene essere pronti, avere altri buoni contratti e relazioni. C’è quindi un elemento economico ed uno politico prudenziale. La Cina ha firmato un accordo con la Moldavia per il prestito di un miliardo di dollari, dietro l’impegno di sottoscrivere tutti gli investimenti atti allo sviluppo economico del paese.

Punta a creare un cuneo di interposizione alla penetrazione Usa verso est?

 La Cina ha l’interesse a diventare un mercato alternativo alla Russia senza inimicarsela. Si è diretta in quei piccoli paesi in cui poteva esercitare una pressione forte. In una strategia di lungo periodo, quando si arriverà ad una domanda crescente di petrolio legata allo sviluppo dei paesi emergenti, sarà conveniente per il colosso asiatico estrarre petrolio in un’ottica differenziata. C’è una strategia di rastrellamento dal mercato di tutte quelle posizioni interessanti sul lungo periodo, che vanno considerate nel complesso: quello che dice della Moldavia va detto ugualmente degli investimenti che la Cina sta facendo in Africa o in Canada.

INT. Roberto Potì lunedì 6 luglio 2009

Qual è il ruolo dell’Italia nella grande partita dei gasdotti continentali?

Roberto Potì, direttore centrale Internazionale, Fonti rinnovabili e Progetti speciali di Edison, spiega a ilsussidiario.net lo scenario strategico degli approvvigionamenti di gas nel prossimo futuro. Abbiamo una certezza: l’Europa avrà bisogno di più gas ma la Russia ne esporterà di meno. Ecco perché al nostro paese servono, dice Potì, approvvigionamenti aggiuntivi senza dipendere dalla Russia. La risposta italiana si chiama Adriatic LNG, Galsi, ITGI. Con la possibilità di giocare un ruolo pivot nell’area mediterranea. Ingegner Potì, qual è lo scenario nel quale si collocano le scelte strategiche di Edison per quanto riguarda gli investimenti nel settore del gas?

 Il primo dato certo è che l’Europa avrà bisogno di più import. A fronte di una crescita nel fabbisogno la fornitura addizionale può venire da Russia e Nord Africa o da altri Paesi dell’Area Caucasica. Ma è impensabile che la Russia da sola possa fornire i miliardi di metri cubi richiesti.

Quali sono le vostre previsioni per quanto riguarda il fabbisogno di gas naturale nei prossimi anni?

Nel 2007 l’Europa ha consumato circa 560 miliardi di metri cubi, 300 di produzione europea e 260 importati. Ebbene, nel 2020 la produzione europea scenderà a 250 miliardi di mc, un calo dovuto ad una gestione più oculata dei pozzi che sono in Norvegia ed alla riduzione della produzione in Gran Bretagna, mentre la domanda aumenterà, passando da 560 a 650-700 miliardi di mc. Questo differenziale dipende anche dalla scelta del governo tedesco di attuare o meno il programma di chiusura delle centrali nucleari con 40 anni di esercizio.

Perché prevede una limitazione delle forniture russe come quello che ha citato?

Perché Gazprom ha altre opzioni di export diverse dall’Europa: su tutte Cina e India. Saremmo ben contenti se la Russia mantenesse l’attuale livello di export e i gasdotti North Stream e South Stream servono più a mantenere sicure le rotte che ad aumentare l’import europeo. Se dei previsti 150 miliardi di mc di fabbisogno aggiuntivo la Russia può darne solo una parte, allora almeno 20 miliardi devono venire o dal Nordafrica o dal Qatar, come per esempio avverrà attraverso il rigassificatore di Adriatic LNG (la joint venture fra Edison, Exxon Mobil e Qatar Terminal, ndr.) o dal Caucaso anche attraversando il Caspio. È in questo quadro di approvvigionamento strategico che si inseriscono le tre infrastrutture nelle quali Edison è partner? Sì: il gas che alimenta il terminale di Adriatic LNG proviene dai campi del Qatar; Galsi, con gas di provenienza algerina, aumenterà la possibilità di import dal Nordafrica e infine il terzo progetto, ITGI, di interconnessione Turchia Grecia Italia, porterà il gas azero dal Caspio.

A che punto è il progetto Galsi?

È già nella fase di ingegneria di dettaglio. L’iter autorizzativo dovrebbe concludersi a fine 2009, inizio 2010. In base all’accordo sottoscritto con Snam Rete Gas, a Galsi compete lo sviluppo del progetto completo e la costruzione del gasdotto dall’Algeria alla Sardegna, Snam si occuperà della tratta interna alla Sardegna e di quella dalla Sardegna alla Toscana. Avrà una capacità di 8 miliardi di mc e il primo gas arriverà a fine 2013.

E per quanto riguarda LNG e il metanodotto ITGI?

Il terminale dell’alto Adriatico è attualmente in fase di collaudo. Prevediamo l’operatività completa entro il 2009. ITGI invece è sfasato temporalmente rispetto a Galsi perché il gas del Caspio sarà disponibile solo dal 2015-2016, però l’ingegneria preliminare è stata terminata e la società mista Igi Poseidon con il partner greco Depa è stata costituita. Abbiamo ottenuto dalla commissione europea e dal governo italiano il diritto di trasporto del gas per Edison e Depa. Resta da chiudere il contratto di fornitura con chi ci darà il gas in quell’area, definire i contratti di trasporto e avviare l’investimento.

Come si collocano queste politiche di approvvigionamento e di investimento sullo sfondo dei grandi gasdotti che provengono dalla Russia, North Stream, South Stream in particolare?

È importante avere nuovi approvvigionamenti aggiuntivi senza dipendere dalla Russia. Il North Stream porta il gas in Europa centrale, il South Stream va in Europa centrale per i due terzi della capacità, mentre un terzo andrebbe a sud con un percorso abbastanza simile all’ITGI. È un progetto che richiede molto più tempo, perché attraversare tutto il Mar Nero a profondità notevoli e passare dalla acque di interesse ucraino implica ancora tanti passi da fare e coinvolge interessi enormi. Progetti che in ogni caso non possono non misurarsi con le strategie di Gazprom: le «altre opzioni» di cui parlava all’inizio… Come ho accennato, Gazprom guarda con interesse anche ad altri mercati più vicini, in forte espansione. Se in Italia ed Europa i consumi crescono dell’1,5%, in Cina e India aumentano tra il 4 e il 6% l’anno. E molti paesi della rete Gazprom, come Kazakistan, Turkmenistan e Uzbekistan dai quali oggi viene il gas che arriva in Europa, stanno facendo in proprio gasdotti verso India e Cina. Quindi avere approvvigionamenti alternativi è una scelta necessaria oltre che lungimirante. L’Italia è un paese con una forte dipendenza dal gas come fonte energetica.

Serve un mix più equilibrato?

Senz’altro. Già anni fa, in tempi non “sospetti”, abbiamo cominciato a pensare a questi gasdotti anche in previsione di scenari diversi. Se guardiamo già oggi in prospettiva al 2030 o al 2040 è facile capire che non possiamo rimanere legati unicamente al gas, perché occorre mettere in conto una diminuzione nella produzione, non solo in Europa ma a livello mondiale, ed una ridistribuzione degli approvvigionamenti dovuta al mutato scenario geopolitico. A questo si aggiunge il fenomeno di “nazionalizzazione” delle risorse in chiave strategica… Sì. Mentre in passato le riserve erano in mano alle multinazionali che mettevano il gas sul mercato quando esso lo richiedeva, oggi i paesi produttori - non solo quelli mediorientali, ma anche la Norvegia per esempio - hanno fatto piani a lungo termine in modo da far durare le proprie riserve di gas il più a lungo possibile. E non è detto che intendano esportare nei tempi che sarebbero a noi più congeniali.

Ci sono interessi dell’Italia che non coincidono in tutto con quelli dell’Unione europea?

Come è noto la Francia ha sempre svolto una politica attiva verso il Mediterraneo. Avevamo grande aspettative per il periodo di presidenza francese dell’Ue, ma purtroppo la presidenza Sarkozy è coincisa con la crisi finanziaria mondiale e quindi molti piani sono stati rimandati. In effetti l’Europa è in ritardo nei rapporti col sud del Mediterraneo e in questo l’Italia può giocare un ruolo importante, valorizzando un suo ruolo di pivot nell’area che le è storicamente peculiare.

Cosa pensa del “rinascimento nucleare” italiano?

Sono totalmente favorevole ad un ritorno al nucleare. Oggi siamo per l’80% dipendenti da fonti di importazione. Sarebbe un grosso risultato arrivare a quel 20-25% di energia nucleare, rimanendo dipendenti per il 50% da fonti fossili di importazione e per il 20-25% da fonti rinnovabili. D’altra parte occorre tener presente che il ricorso all’atomo potrà avere una qualche incidenza sui consumi italiani dopo il 2020.

A suo avviso cosa manca, oggi, alla nostra politica energetica?

Un piano energetico nazionale sarebbe senz’altro utile al paese. Da quando non c’è più l’ operatore unico, è venuto meno anche il piano nazionale e sono proliferati i piani regionali, che difettano però di una visione strategica complessiva e sono incompatibili con l’elaborazione di uno scenario di lungo termine. Senza contare che un piano nazionale aiuterebbe enormemente le imprese a indirizzare i propri investimenti.

Infine una lunga analisi di Lao Xi

Per tre secoli la Russia ha tentato di accedere al Mediterraneo e per tutto questo tempo le potenze europee tradizionali, Francia e Gran Bretagna, glielo hanno impedito. Gli Stati Uniti, diventati di fatto anche potenza europea alla fine della seconda guerra mondiale, hanno ereditato questa politica strategica. Oggi, a 17 anni dalla fine dell’Unione sovietica e dopo un breve periodo di luna di miele, la Russia oscilla tra inferno e purgatorio per gli Usa, per tanti motivi. Gli Stati Uniti pensano che certi atteggiamenti ambigui di Mosca in ambito internazionale siano all’origine di problemi strategici come l’Iran. Con la guerra in Iraq e il rialzo del prezzo dell’energia, la Russia aveva assunto toni tracotanti sia all’interno che all’esterno. All’esterno gli Usa e gli stati europei ex sovietici sono preoccupati dalle pressioni continue di Mosca sull’Ucraina o sulle repubbliche caucasiche, le polemiche sulle istallazioni di missili in Polonia, tutte azioni che paiono come la riaffermazione di una sfera di influenza per tornare a ristabilire i confini della vecchia Urss.

All’interno c’è poi la svolta autocratica contro il dissenso interno. Le azioni, esterne e interne, possono essere giustificate per mille ragioni, ma di fatto ricreano una politica assertiva da parte di un paese che ancora oggi è l’unico al mondo con un potenziale atomico teorico in grado di distruggere gli Stati Uniti e tutti i suoi alleati. Inoltre, nel periodo di grandi difficoltà americane nella guerra in Iraq, con il rialzo dei prezzi dell’energia, Mosca ha cercato di usare la sua energia come “arma strategica” in Europa, andando a caccia di amici tra i vari stati e anche all’interno dei vari stati, tra i diversi schieramenti politici. In questo senso ha contribuito a spaccare l’unità atlantica ed un consenso europeo. L’Europa unita e poi il suo allargamento a est erano azioni pensate in funzione anti sovietica prima e di contenimento della Russia dopo. Ma Mosca ha abilmente usato la sua nuova politica estera e le forniture di energia per spaccare questo fronte cercando di ottenere consensi in Germania, Francia e Italia e altri paesi europei minori. In questo contesto arriva il progetto del gasdotto South Stream, pensato dopo e in competizione con il progetto di gasdotto americano di Nabucco.

Nabucco dovrebbe portare gas e petrolio dal Centro Asia (repubbliche ex sovietiche) e dal Caucaso direttamente in Europa attraverso la Turchia, senza passare dalla Russia. Il progetto è chiaramente un ulteriore sforzo di contenimento della Russia, perché fornisce una via di fuga diretta per nuovi mercati a repubbliche ex sovietiche liberandole da una cordone ombelicale con Mosca. Nabucco crea un nuovo grande accesso a forniture da parte dell’Europa, che riceverebbe energia da 1) Africa e Medio oriente, paesi Opec, 2) dalla Russia e 3) dal Centro Asia e dal Caucaso. Con tre linee di fornitori i paesi europei (paesi consumatori) poi possono sperare di negoziare prezzi di forniture al ribasso. Le implicazioni strategiche del progetto di Nabucco sono gravi, implicano una ulteriore rottura di rapporti con paesi ex sovietici che oggi ancora forniscono a Mosca energia a prezzi ribassati, mentre poi Mosca vende la sua energia in Europa a prezzi di mercato.

Con Nabucco questo rapporto finirebbe. Nabucco rischierebbe di entrare in funzione tra alcuni anni, proprio quando i consumi interni di energia russa minacciano di superare la sua produzione e quindi farebbero passare la Russia a importatore netto di energia, cioè proprio quando la Russia avrebbe maggiore bisogno di energia a basso prezzo. Di fronte alla sfida strategica di Nabucco, che è poi in linea con gli interessi americani e dei paesi europei, la Russia aveva due scelte. La più difficile era cambiare il suo “modello di sviluppo”, gradualmente abbandonare l’attuale sistema in cui oltre il 80% delle sue esportazioni sono di materie prime e il resto armi, e creare un’industria moderna. L’altra scelta, più facile, era quella di cercare di trovare una difesa del modello economico attuale basato sulla grande esportazione di energia e quindi della sua area di influenza, che allarga il bacino di materie prime da vendere.

La prima scelta era la più difficile e avrebbe tra l’altro comportato una rinegoziazione politica, forse umiliante, con gli Stati Uniti, e un riassetto fondamentale degli equilibri interni, la creazione di una classe di imprenditori piccoli e medi che oggi praticamente non esiste. La seconda era più facile, era la difesa degli assetti interni, il consolidamento di rapporti nell’area di influenza e l’esercizio di quello che oggi la Russia ha di meglio, la sua proiezione esterna verso l’Europa in azioni di influenza. Da qui nascono i progetti di North Stream e South Stream. Il primo pensa a un gasdotto che salti l’Ucraina e arrivi in Germania attraverso il Baltico, un po’ secondo la rotta delle navi della antica Lega Anseatica; il secondo è un’idea completamente nuova che salta la Turchia e attraversa il Mar Nero e i Balcani per raggiungere l’Europa attraverso l’Italia o l’Ungheria. Incidentalmente, North Stream è presieduto dall’ex cancelliere tedesco Schroeder, South Stream ha il sostegno dell’Eni e del primo ministro italiano Berlusconi.

Con North Stream e South Stream la Russia avrebbe tre condotte per portare la sua energia ai paesi europei, le due nuove e quella attuale che passa attraverso l’Ucraina. Con tre condotte la Russia è in grado di dividere e governare a piacimento l’Europa, che non è un’entità politica unitaria, ma un collage variegato di una trentina di stati con mire strategiche spesso nulle o molto confuse. È teoricamente vero, come hanno rilevato alcuni difensori del progetto russo, che gli europei sono fornitori di denaro alla Russia, senza i soldi europei la Russia muore un minuto dopo che l’Europa muore senza energia russa. Ma nella realtà questo sarebbe vero se l’Europa fosse unita politicamente: allora potrebbe trattare da pari a pari con la Russia. In realtà l’Europa è disunita, e ci sono tre condotte russe di gas: ciò significa che Mosca può calibrare forniture e pressioni ai vari stati minimizzando il rischio di restare senza soldi.

Cioè, per esempio, può togliere gas alla Germania o alla Polonia, senza influenzare le forniture ad altri paesi che rimangono amici, e soprattutto senza tagliarsi le vene privandosi completamente di flussi di denaro. In altre parole, South Stream diventa un’arma strategica con cui la Russia può dominare l’Europa. In altre parole, come per i migliori scacchisti, una situazione di difesa, per l’arrivo di Nabucco, può trasformarsi in una posizione di attacco per la Russia con cui non solo si consolida il vecchio territorio ex sovietico, non solo si approda al Mediterraneo, dopo tre secoli di fallimenti, ma si arriva a dominare l’Europa. South Stream è sostenuto dallo stato russo, non ha quindi problemi di finanziamenti, a differenza di Nabucco che è un progetto commerciale.

Quindi la semplice spinta in avanti di South Stream da parte della politica e dei media, può fare naufragare Nabucco, che di per sé ha mille problemi politici e tecnici di realizzazione. Per esempio c’è la grande questione di come passare per il Caspio, se non si ha l’accordo preciso dei paesi rivieraschi. Una volta naufragato Nabucco poi South Stream prende sempre più forza. Senza Nabucco e con solo South Stream, la Russia ha uno strumento anche per negoziare da un punto di grande forza con altri paesi produttori di gas e petrolio a cui potrebbe convenire accodarsi alla cordata russa di forniture all’Europa. Insomma esso potrebbe essere il collante di una specie di super Opec imperniata sulle condotte e sulla Russia. Le forniture con condotte sono strategicamente importanti perché sono un patto di lungo termine fra stati, non come le forniture per nave, che in teoria possono essere dirottate verso un altro porto a piacimento. Le condotte sono molto care e impegnano per decenni i rapporti fra stati. Non possono essere cambiate facilmente.

Ci sono conseguenze globali dell’operazione. Se la Russia chiude il mercato delle forniture europee di idrocarburi ha un forte elemento in più per determinare i prezzi globali degli idrocarburi verso l’America o verso l’Asia, grande consumatore in crescita di energia. La Russia poi non è un paese europeo come gli altri, anche a parte la sua storia. Le sue dimensioni territoriali (la Russia è più grande di tutta l’Europa) e demografiche (quelli che parlano russo come prima lingua in Europa sono oltre il doppio di quelli che parlano la seconda più diffusa lingua europea, il tedesco) ne fanno un super gigante se paragonato con gli altri paesi europei. Il suo livello di ricchezza media, inferiore a quello degli europei avanzati, crea un senso di profonda disparità con i “colleghi” europei: i russi si sentono più grandi, più forti degli europei singolarmente, mentre rimangono più poveri. South Stream potrebbe cambiare il rapporto. L’Eni in questa situazione ha colto un’opportunità commerciale, inserirsi in un tentativo di chiudere il mercato europeo degli idrocarburi, e diventare di fatto monopolista mondiale con Gazprom. La storia degli idrocarburi è una storia di monopoli.

Ci sono state le “sette sorelle”, le aziende petrolifere anglo americane che dominarono il mercato dalla fine della seconda guerra mondiale agli anni ’70, ci fu poi l’Opec dagli anni ’70. Ma entrambi i tentativi di monopolio erano alleanze con molti attori, almeno sette grandi aziende petrolifere per le sette sorelle, e decine di stati produttori per l’Opec. Inoltre l’Opec, nato anche sull’onda terzomondista degli anni ‘60, ma privo di un forte sostegno politico militare naufragò di fatto in pochi anni, le sette sorelle durarono invece per quasi un trentennio sulle spalle del potere politico militare anglo americano. L’alleanza Eni-Gazprom per durare avrebbe bisogno storicamente quindi di un forte appoggio politico.

Ma la Russia ha il peso politico-militare per esercitare la protezione su Eni-Gazprom? E se non ce l’ha cosa è disposta a fare per ottenerlo? Cosa è disposta a fare se qualcuno le sbarra la strada? Inoltre, le sette sorelle erano sette, non due compagnie, e si basavano sulle due potenze vincitrici del conflitto mondiale, Usa e Gran Bretagna, non sulla potenza sconfitta nella guerra fredda, Russia, e una media potenza, l’Italia. Qual è poi l’interesse dell’Italia? In un’alleanza con la Russia sarebbe partner minore, senza potere di leva verso il partner maggiore e sottoposto a suoi eventuali cambi di umore politico, un po’ come nell’alleanza tra Mussolini e Hitler. Interesse dell’Italia è invece quello di avere energia al prezzo più basso possibile (che si ottiene con più fornitori in competizione fra loro), che spingano la sua forza industriale di Paese da terziario avanzato, e non vivere delle rendite di petrolio. Infine occorre ricordare una regola basilare di mercato. Dall’inizio del capitalismo una influenza malvagia sul mercato è stata quella dei monopoli, che drogano i prezzi, creano disservizi per i consumatori, e creano atmosfere drogate per le aziende. In altre parole i monopoli tentano di riportare l’economia capitalista verso un’economia feudale.

L’alleanza Eni-Gazprom va in questa direzione. In altre parole, c’è una folla di motivi che militano contro South Stream, brillantemente presentati e discussi già un anno fa da Zeyno Baran (Rapporto preparato per Parlamento Europeo sugli aspetti di sicurezza di South Stream dallo Hudson Institute di Washington), ma finora le pressioni politiche americane sull’argomento non sono arrivate con grande forza. Ciò per vari motivi. Washington non vuole un confronto duro con la Russia, con cui invece vuole costruire un rapporto positivo, visto che tra l’altro ne ha bisogno per la soluzione del problema dell’Afghanistan e dell’Iran. L’America vuole costruire un “engagement” con la Russia, trovare soluzioni ai problemi delle condotte attraverso l’Ucraina; con la presidenza Obama è diventato possibile anche discutere dei missili in Polonia, della posizione della Georgia nel Caucaso. Ma certo questo engagement non può voler dire regalare a Mosca l’Europa e il Mediterraneo. D’altro canto alcuni a Washington pensano che South Stream è irrealistico, e che non partirà mai. Altri però pensano che semplicemente continuare a spingere su South Stream può essere sufficiente a far morire Nabucco e quindi occorre porvi un freno rapidamente. In questo c’è una scadenza temporale. A fine settembre ci sono le elezioni in Germania, se il partito di Schroeder (altro paladino di South Stream) come si prevede perde ed esce dal governo, l’entusiasmo tedesco per il progetto scema e l’Italia e Berlusconi restano “con il cerino in mano” nel sostegno di South Stream tra i paesi europei importanti. Allora l’oggettiva pressione sul capo del governo italiano potrebbe diventare enorme. Perché diventa interesse degli americani bloccare South Stream non in Russia, per non guastare i delicati rapporti con Mosca, ma in Italia, dove per mille motivi può essere più facile. Qui la storia internazionale diventa storia italiana. Ciò crea una enorme finestra di opportunità per tutte le opposizioni interne per attacchi non su pallide questioni morali di donne, ma su grandi temi politici, cosa di cui moltissimi in Italia capiscono poco ma di cui tutti vedono l’importanza. Il capo del governo Berlusconi quindi ha un forte interesse a raffreddare gli entusiasmi con South Stream e riconsiderare profondamente la sua politica estera filo-russa. Se lo farà, di fatto i suoi problemi interni, privi di una sponda politica importante, potrebbero anche recedere e sparire. South Stream in altre parole è solo incidentalmente una questione di affari, ma non lo è nella sua essenza. Così South Stream non si può compensare comprando quattro attrezzature in più dall’America o distribuendo favori economici più o meno mirati. È una questione di sopravvivenza dell’Europa per come è emersa dalla guerra fredda, sono questioni di vita o di morte per interi paesi su cui il denaro smette di contare. Come insegnavano gli antichi filosofi yanghisti cinesi: qualcuno può farsi tagliare un dito, magari anche cavare un occhio per un compenso, ma farsi uccidere con certezza per un compenso in denaro smette di essere attraente, perché semplicemente il denaro è un mezzo per vivere meglio, se si smette di vivere il denaro smette di avere senso. Inoltre esiste anche un versante di politica che va considerata per la Santa Sede. Mosca ha consolidato i rapporti con la Chiesa ortodossa russa, e Roma sta lavorando alacremente per migliorare i rapporti con gli ortodossi russi, dove le differenze teologali non sono enormi. C’è quindi uno sforzo di riportare Mosca entro l’alveo cattolico. Con accenti diversi, con scopi anche diversi, però c’è un parallelismo tra azione americana e della Santa Sede con la Russia, entrambi tesi a un confronto con Mosca, più prudente a Washington, più caloroso a Roma, ma certo non si vuole regalare la Chiesa cattolica al pope di Mosca. Una “sudditanza” politica dell’Italia con la Russia nella questione South Stream oggettivamente, però, rafforza la mano del Pope moscovita legatissimo allo “zar” di Mosca. Né i rapporti tra Santa Sede e Washington sono privi di difficoltà. La storia dei preti gay, della pedofilia nelle parrocchie, sta rovinando la Chiesa in America, e tiene il Vaticano sotto minaccia. In Usa c’è anche una proposta di legge, per ora dormiente, secondo cui le cause di molestia sessuale potrebbero non avere limiti temporali. Cioè si potrebbe citare in tribunale un prete accusandolo di molestie compiute 30 o 40 anni fa. Ciò significa mettere la Chiesa Usa a rischio di bancarotta (i preti citati accettano sempre di pagare i “molestati” pur di non andare in dibattimento in tribunale che infangherebbe tutta la Chiesa). Obama aveva proposto di fare passare la legge, ora essa è in ghiacciaia. Se però una nuova campagna di accuse sull’omosessualità nella Chiesa si fa largo in Italia come si è iniziato a fare con le accuse del direttore del Giornale Feltri al direttore dell’Avvenire Dino Boffo, si colpisce su una ferita aperta del Vaticano, e si rischia di aprire un vaso di Pandora per tutto il mondo, in Francia, Spagna, Germania, America Latina ecc. Si rischia di colpire la Chiesa universale. In altre parole il ricatto di Feltri è stato enorme, può mettere a rischio tanti interessi della Chiesa. Anche questo è un terreno minato per il capo del governo italiano, in cui si incrociano pericolosamente strategie e intenzioni americane, vaticane e russe, ma su cui l’Italia o il governo peraltro non ha alcun interesse strategico se non forse quello di sostenere per quanto possibile il Vaticano, perché ha sede a Roma, da minacce politiche che possono arrivare da Oriente o Occidente. Perciò, qualunque sua mossa su questo terreno rischia di essere sbagliata e galvanizzare opposizioni interne e esterne. Anche su questo fronte l’interesse di Berlusconi è gettare acqua sul fuoco e non risollevare mai più la questione.

 
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