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Ue-la minaccia di Irlanda e Germania
Di Rassegna Stampa - 14/09/2009 - Politica - 940 visite - 0 commenti

Il primo ministro Brian Cowen ha annunciato che il 2 ottobre si terrà il secondo referendum irlandese sul Trattato di Lisbona. Se dovesse avere un risultato positivo, per l’entrata in vigore del Trattato nei Paesi dell’Unione europea mancheranno solamente la firma del Presidente polacco, che aspetta il risultato irlandese, e quella dell’euroscettico Presidente della Repubblica Ceca, dove peraltro il Trattato è già stato approvato dal parlamento.

Per incoraggiare la popolazione irlandese al voto referendario e per sollecitare una risposta positiva all'entrata in vigore del Trattato di Lisbona, il governo irlandese ha pubblicato un Libro bianco che spiega i cambiamenti che il Trattato apporterà al funzionamento dell’UE e illustra le garanzie giuridicamente vincolanti e le assicurazioni ottenute dall’Irlanda in seguito alla bocciature del primo referendum. Infatti dopo il "semaforo arancione" dato dalla Corte Costituzionale Tedesca all’adozione del Trattato, che potrà entrare in vigore solo a determinate condizioni, anche l’Irlanda ha ottenuto un compromesso in tale direzione. Al vertice di Bruxelles di giugno i leader dell’UE hanno concesso all’Irlanda alcune garanzie giuridiche in materia di tassazione, neutralità militare e aborto, confermando la sovranità nazionale dell’Irlanda in questi settori. Questa decisione se da un lato spiana la strada al secondo referendum irlandese sul trattato di Lisbona, che si terrà in autunno, dall’altro rinforza il timore di creare differenti livelli di sovranità dell’Europa all’interno degli Stati membri. In Germania infatti, come ricordato poco sopra, la Corte Costituzionale ha confermato la compatibilità del trattato di Lisbona con la Costituzione.

Ha però dichiarato che prima di concludere la procedura di ratifica occorre modificare la parallela legge tedesca sul diritto di partecipazione del Parlamento nazionale alle politiche comunitarie. Infatti la Legge fondamentale (Grund Gesetz), in seguito alla riforma costituzionale del 1992, ha previsto esplicitamente all’art. 23, I c. la partecipazione della Repubblica federale tedesca “allo sviluppo dell’Unione europea” nel rispetto “dei principi di democrazia, dello Stato di diritto, sociale e federativo e del principio di sussidiarietà” e di “una tutela dei diritti fondamentali essenzialmente paragonabile a quella della (…) Legge fondamentale”. In sostanza la Corte di Karlsrhue ha rilevato che i meccanismi decisionali dell’Unione, nonostante questa in alcuni settori agisca come un’entità statale federale, sono essenzialmente ispirati al modello proprio delle organizzazioni internazionali, fondato sul principio dell’uguaglianza fra gli Stati, insomma l’Europa non è federalista, ma è un’Europa delle nazioni.

Insomma è l'affermazione della centralità del Parlamento tedesco, non solo del Bundestag, ma anche del Bundesrat, come organismi nei quali si esprime appieno la democrazia. Questo deve farci riflettere non solo sulla permanenza di un forte deficit di legittimità delle Istituzioni comunitarie, ma anche sul valore riconosciuto al Parlamento europeo, che paradossalmente vedrebbe i suoi poteri rafforzati proprio dal Trattato di Lisbona. Non si giustifica il voler riconoscere a tutti i costi maggiori poteri di partecipazione alle assemblea nazionali, considerando fra l’altro che proprio i parlamentari europei tedeschi rappresentano in assoluto il gruppo più numeroso all’interno dell’assemblea di Bruxelles e vengono eletti, secondo l’Europawahlgesetz, in modo generale, diretto, uguale, libero e segreto, così come sancito anche nella Legge fondamentale, per le elezioni dei membri del Bundestag.

 La sentenza della Corte Costituzionale tedesca metteva in evidenza proprio il timore che venissero lese la sovranità e la competenza del Bundestag; per cui nello specifico non solo l’interesse nazionale, ma i poteri di ogni singolo Land devono essere salvaguardati e tutelati contro lo “sconfinamento” delle competenze europee. Questo deve farci riflettere perché potrebbe, o avrebbe potuto portare non solo a una richiesta di maggior tutela delle sovranità nazionale e dei parlamenti, ma si potrebbe arrivare a pensare che anche le singole regioni di uno stato, soprattutto in quei paesi dove abbiano funzioni proprie e potere legislativo (si pensi alla stessa Italia, alla Spagna, per non dire al Regno Unito) potrebbero avanzare pretese simili. Allora più che parlare di Europa a due velocità si arriverebbe a un’Europa a più velocità che rischierebbe solo il testacoda.Mario Mauro, ilsussidiario.net

 
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