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Quel senso di vuoto dell'ateo...
Di Mattia Tanel - 21/02/2009 - Religione - 1440 visite - 0 commenti
Nel corso della sua vita, ogni ateo – ogni ateo “dichiarato”, ma anche ogni ateo semplicemente “pratico” – comincia prima o poi ad avvertire nel profondo del suo essere una strana sensazione di vuoto.

Dapprima quasi inavvertita, occultata magari per anni dal tumulto delle occupazioni, dei progetti e dei piaceri oppure relegata superficialmente nel cantuccio dei “momenti no”, la sensazione di cui parlo è destinata ad affiorare, un giorno, nella sua piena realtà e riconoscibilità.

Una sottile angoscia, un senso acuto ed amaro dell’inutilità e futilità di tutto, un inspiegabile inappagamento invadono l’anima.

Nulla di ciò che “prima” bastava a dare senso e pienezza al quotidiano appare più significativo e importante: amici, avvenimenti, amanti, vocazioni lavorative, rapporti famigliari, passatempi.

Una noia coriacea, un disinteresse di fondo, un improvviso deficit di speranza occludono ogni possibile orizzonte futuro.

Il presente appare soltanto un’interminabile ripetizione, un’insensata routine.

Le persone, “gli altri”, diventano meccaniche e patetiche marionette, prive di vera connessione e rapporto con le esigenze più autentiche di colui che versa in questo stato d’animo.

L’amore autentico e disinteressato per la moglie, il marito o il fidanzato, o anche l’affetto per un amico, sembrano realtà irreali, obliate in un passato di illusioni.

È a questo punto che la solitudine e la riflessione diventano situazioni “pericolose” e odiate: è proprio in tali momenti di introspezione, infatti, che il senso di vuoto emerge con più forza, gettando l’anima in una vera e propria angoscia. Nei casi più accentuati, la tentazione del suicidio appare invitante, seducente: non essere più, scomparire nel nulla… nel nulla illusorio creato da un’immaginazione indifferente ai Novissimi.

Se l’ateo confidasse la sua situazione a uno psicologo, quest’ultimo sarebbe forse così sprovveduto da parlare di “depressione” o “esaurimento”, e da prescrivere di conseguenza qualche passeggiata o qualche psicofarmaco. Ma non di questo si tratta.

Il senso di vuoto di cui parlo è generato dall’assenza infinita di Dio.

È un’assenza “infinita”, quella di Dio, perché Dio stesso è infinito: siccome ogni cosa è nulla al Suo confronto, l’uomo cui manca Dio vive come se gli mancasse tutto. E di fatto è così.

Si tratta, in verità, di un vero e proprio “assaggio” anticipato – anche se di gran lunga mitigato – della dannazione. Ma non è ancora la dannazione.

È la stessa Misericordia di Dio ad aver predisposto per ogni uomo e per ogni donna che non Lo riconosce, che non Lo ama e che non Lo prega una tale esperienza di infelicità e di abbandono.

Proprio grazie a questa esperienza, l’ateo ha l’opportunità di cambiare. Può riconoscere il fallimento di una vita costruita sull’orgoglio, sull’autosufficienza, sulla vanità, sul piacere e sull’egoismo.

Può riconoscere il proprio bisogno costitutivo e strutturale di un Amore e di un Perdono infiniti.

Può ottenere nuovamente, per mezzo del pentimento e dei sacramenti della Chiesa, la comunione di Grazia con il Dio di infinita gioia e di infinita pienezza, quel Dio che “non è venuto per i sani, ma per i peccatori”. E, assieme alla comunione d’amore con Dio, può pervenire gradualmente – forse per la prima volta – alla comunione di autentico amore con le altre persone.

Ogni sua ferita, ogni sua colpa saranno medicate e lavate nel sangue dell’Agnello.

Se avrà il coraggio della conversione, cesserà per lui l’esperienza del vuoto e del nulla. Tutte le cose acquisteranno ai suoi occhi un volto nuovo, e un senso di pienezza e di pace lo accompagnerà d’ora in poi.

Tutto questo accade; accade realmente.
 
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