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La negazione della solidarietà morale: l'eresia nel cuore del liberalismo
Di Mattia Tanel - 11/02/2009 - Filosofia - 1633 visite - 0 commenti
Religiosamente considerati, gli uomini sono divisi in due grandi “città”: la città dei giusti (Città di Dio) e la città dei malvagi (Città del diavolo).

In virtù del battesimo – anche solo “di desiderio” – e della vita di grazia, ogni giusto è membro vivo del Corpo Mistico di Nostro Signore Gesù Cristo: la Chiesa cattolica nei suoi invisibili confini.

In virtù del peccato, ogni malvagio è membro del “quasi-corpo mistico” costituito da satana e dalle creature da lui sedotte.

Nessun uomo, per quanto esteriormente ignaro, può sottrarsi dal militare nell’una o nell’altra delle due “città” contrapposte.

Ciascuna delle “città” – quella dei giusti e quella dei malvagi – sperimenta al proprio interno un’invisibile e misteriosa solidarietà morale.

Nel Corpo Mistico di Cristo avviene tra le anime un incessante scambio di intercessioni, di grazie, di meriti. È la comunione dei santi: il bene compiuto da un’anima si ripercuote misticamente sulle altre – fossero anche infinitamente distanti nello spazio e nel tempo –, generando effetti ignoti e meravigliosi. La santità di uno produce in mille altri la santificazione; la perseveranza di uno consente che mille altri perseverino; la preghiera di uno rende possibile a mille altri la salvezza.

Nel “quasi-corpo mistico” di satana avviene una dinamica simile, benché non identica: tra i malvagi non può darsi vera solidarietà morale, ma solo una “pseudo-solidarietà morale” dovuta alla comune inclinazione al male. Anche quando dediti ai medesimi disegni, infatti, i membri della Civitas diaboli rimangono tra loro estranei, non partecipi. Ma la “pseudo-solidarietà morale” agisce ugualmente: sulla terra o all’inferno, ogni malvagio non può fare a meno di spingere altri alla malvagità e al peccato.

È proprio la deliberata ignoranza di questo principio – il principio della solidarietà morale – a costituire l’errore fondamentale del liberalismo.

Sulla libertà e in particolare sul liberalismo, ideologia anticattolica germinata sul tronco del protestantesimo e del deismo cinque-settecenteschi, è consigliabile in via preliminare la lettura di una grandissima Enciclica di Papa Leone XIII: la Libertas praestantissimum del 1888. Qui darò per assodati i contenuti del pensiero leonino, limitando le mie considerazioni all’aspetto preso in esame fin dal titolo: “La negazione della solidarietà morale: l’eresia nel cuore del liberalismo”.

Fu John Stuart Mill (On Liberty) ad enucleare con la maggior precisione un concetto-cardine già embrionalmente ravvisabile in Locke e Voltaire: non si può mai interferire con la libera scelta dell’individuo, salvo nel caso di danno direttamente arrecato a terzi.

Ora, è evidente che con una tale affermazione si nega implicitamente la verità di fede della solidarietà morale. Ogni atto, buono o cattivo, si ripercuote invisibilmente su altre persone: in particolare, persino il peccato più solitario e nascosto può avere conseguenze drammatiche non solo su chi lo compie, ma anche su numerosi altri, forse sconosciuti e lontani. Religiosamente parlando, è chiaro che non esiste un atto malvagio che non arrechi danno a terzi.

Tutto ciò può essere compreso anche a partire da un ulteriore versante: con il peccato, la persona si sottrae a quel progetto provvidenziale che la designa strumento di salvezza non solo per se stessa, ma anche per il suo prossimo. Chi si sottrae alla volontà di Dio – lo ripeto: anche con l’atto più solitario e “privato” – defrauda il suo prossimo di un contributo di santificazione disposto eternamente da Dio stesso.

Ecco che l’assioma milliano – così ricco di apparente buonsenso – si palesa ad uno sguardo di fede irreale e menzognero.

Con ciò non si vuole affermare che, di conseguenza, ogni peccato debba essere sanzionato come reato dall’ordinamento giuridico: su questo, San Tommaso d’Aquino ha dettato criteri giusti e profondi. Ma è evidente che tutta la costruzione ideologica del liberalismo, anche “conservatore”, cade a pezzi. E presunti “diritti civili” come quello a una “morte pietosa”, al consumo “privato” di droga, all’aborto, al divorzio e via dicendo si rivelano improponibili.

Lascio a chi vuole riflettere il compito di riferire quanto esposto al caso di Eluana Englaro.
 
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