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Le banalitą di Gianfranco Fini (e di Veltroni) sulla storia patria
Di Francesco Agnoli - 17/12/2008 - Storia del Novecento - 1223 visite - 0 commenti

Gianfranco Fini cerca sempre di accreditarsi come un ex fascista pentito. Ora apre al Corano nelle scuole, ora al voto agli immigrati, ma non perché lo voglia, quanto per farsi bello e democratico agli occhi del mondo bene, politically correct. Poi, chiaramente, fatta la sparata, si ritira. La sua foga mediatica, unita alla sua grande, proverbiale ignoranza, gli gioca spesso, però, brutti scherzi.

Ieri ha condannato le leggi razziali del fascismo e  chiaramente la colpa è stata data  più alla Chiesa che a colui che sino a pochi anni fa veniva definito, proprio da Fini, il più grande statista del Novecento. Andrebbe ricordato per amore di verità che le leggi razziali di Mussolini furono, come è ovvio, un’oscenità, ma che Mussolini le fece per pura sudditanza a Hitler, e che le rese in buona parte inapplicabili. In verità agì all’italiana, non essendo lui mai stato un razzista (George Mosse). Si ricordi infatti sia il ruolo avuto da molti ebrei nel fascismo, sin dalla fondazione dei fasci, sia la sua amicizia col sionista di estrema destra Jabotinskj, sia il suo amore per Margherita Sarfatti, un’ebrea veneziana che diresse per anni la rivista ufficiale del fascismo Gerarchia. Si ricordino inoltre i suoi discorsi del 1934 contro il razzismo tedesco.

Ma soprattutto è bene rievocare quanto scrisse nel suo "La banalità del male" Hanna Arendt , studiosa ebrea al di sopra di ogni sospetto:  le inique  leggi razziali di Mussolini presentavano una marea di eccezioni: per compiacere Hitler, Mussolini fece forti proclami, ma poi escogitò mille sotterfugi di modo che esse rimasero in buona parte inapplicate sino al 1943, e cioè sino all’ invasione tedesca dell’Italia. Allora i nazisti si resero conto che in fondo Mussolini li aveva buggerati, e iniziarono le retate di 7-8000 ebrei.

 «La grande maggioranza degli ebrei italiani - scrive la Arendt - furono esentati dalle leggi razziali», concepite da Mussolini «cedendo alle pres­sioni tedesche». Gran parte degli ebrei erano infatti iscritti al Partito fascista o erano stati partecipanti alla marcia su Roma o combattenti: per tutti costoro Mussolini aveva scritto che le leggi razziali non valevano.  I pochi ebrei veramente antifasci­sti non erano più in Italia, mentre gli altri, anche dopo il 1938, pensarono che in fondo non sarebbe successo nulla, e rimasero. Persi­no il più razzista dei gerarchi fa­scisti Farinacci, notava la Aren­dt, aveva collaboratori ebrei, e non era un'eccezione.

Quando i tedeschi arri­varono a Roma per rastrellare gli ottomila ebrei presenti «non po­terono fare affidamento sulla polizia italiana. Gli ebrei furono avvertiti in tempo, spesso da vecchi fascisti, e settemila riusci­rono a fuggire». Moltissimi furono salvati proprio con l'aiuto del Vaticano, come ha testimoniato nientemeno che il rabbino capo di Roma, Isreal Zolli, che per ringraziare Pacelli prese il nome di Eugenio. Sempre la Arendt ricorda che l'Italia fascista adottò nei confronti dei nazisti antisemiti un sistematico "boicottaggio": «Il sabotaggio italiano della soluzione finale aveva assunto proporzioni serie, soprattutto perché Mussolini esercitava una certa influenza su altri governi fascisti, quello di Pétain in Francia, quello di Horty in Ungheria, quello di Antonescu in Romania, quello di Franco in Spagna. Finché l'Italia seguitava a non massacrare i suoi ebrei, anche gli altri satelliti della Ger­mania potevano cercare di fare altrettanto…il sabotaggio era tanto più irritante in quanto era attuato pubblicamente, in maniera quasi beffarda».

 Tutto questo per amore di storia, e perchè è l'ora che politici demagoghi la smettano di usare la storia per farsi belli con facili e stupide denunce postume, che sarebbero ottime se almeno fossero fatte con conoscenza di causa, precisione  e buona fede.

 

P.s Forte del suo diploma in cinematografia, Walter Veltroni, l'altro giornalista che dopo Mussolini e D'Alema rischiavamo di avere a guidare il paese,  è intervenuto subito: quello che ha detto Fini è vero! Al contrario la Radio vaticana, a dimostrazione che «non è vero che la Chiesa italiana non si oppose », ha ricordato, con l'intervista a due storici, Riccardi e Malgeri, che Pio XI nel settembre 1938 pronunciò in Vaticano un memorabile discorso: «L'antisemitismo è inammissibile. Spiritualmente siamo tutti semiti».

 
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