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DA QUASI 150 ANNI AL SERVIZIO DEI POVERI: LA SAN VINCENZO NEL TRENTINO
Di Francesco Agnoli - 09/12/2008 - Religione - 1135 visite - 0 commenti
Quando si parla della grande tradizione del volontariato trentino spesso sembra automatico riferirsi a realtà quali i vigili del fuoco volontari, la Croce Rossa, la Stella Bianca, i Nu.Vol.A.. ecc. Si tratta senza dubbio di associazioni degne di nota sia per attività che per numero di associati ma, se il punto di vista diventa quello dell’anzianità di servizio, sarebbero da citare anche altre realtà, alcune delle quali ancora vive. Molto spesso sono strutture legate alle parrocchie, o comunque nate dall’esigenza di un accostamento delle opere alla fede. Una di queste è costituita delle conferenze di San Vincenzo de Paoli, le cui vicende in Trentino sono state di recente ricostruite in un contributo pubblicato nel volume “Insieme nella carità: per una storia della San Vincenzo” curato dal Coordinamento interregionale Veneto-Trentino della Società di San Vincenzo De Paoli (De Bastiani, 2008).
Solo in questi ultimi anni sono stati scritti libri che raccontano la storia di associazioni come questa: una caratteristica tipica della San Vincenzo come di altre realtà caritative ecclesiali è infatti sempre stata quella di agire “in silenzio”, con un forte senso di riservatezza e rispetto prima di tutto nei confronti delle persone che vengono aiutate. Lo stesso fondatore delle “conferenze”, il beato Federico Ozanam (1813 – 1853), scriveva ad un amico riferendosi allo smarrimento dei primi verbali delle riunioni dell’associazione: “Non è una grande disgrazia per noi: vi era in quel sunto storico della nostra opera un pensiero che forse era dettato dall’orgoglio. Dio, che vuole che la mano sinistra ignori ciò che la mano destra ha dato, ha permesso che noi perdessimo un titolo che non serviva che a darci un po’ di ridicola vanità. La carità non deve mai guardare dietro a sé, ma sempre avanti, perché il numero delle sue buone opere passate è sempre troppo piccolo e perché infinite sono le miserie presenti e future che essa deve alleviare”. Anche la ricostruzione delle vicende trentine è stata laboriosa proprio per i molti “buchi”: alluvioni, incendi, una certa incuria, incaute eliminazioni hanno fatto perdere per sempre molti documenti. Ciononostante, utilizzando quanto è rimasto, emerge un quadro sufficientemente completo di un’associazione che è arrivata ad avere nella Diocesi di Trento varie centinaia di “soci”, una trentina di gruppi, con il duplice obiettivo di formarsi nella fede ed aiutare il povero, cercando di “alleviare i mali di chi soffre, ma anche di scoprire, sanare e rimuovere le cause”, come recita l’articolo 1 del Regolamento.

La prima conferenza di cui si ha la certezza dell’attività fu quella fondata a Borgo Valsugana nel 1863, anno in cui varie calamità colpirono la zona: prima una brinata praticamente azzerò la produzione delle viti e di bozzoli, poi un incendio di ingenti dimensioni lasciò parecchie famiglie senza nulla. Nacquero poi una conferenza a Levico, sempre nel 1863, e poi a Trento nel 1898. Per parecchi decenni le conferenze furono composte esclusivamente da uomini. Colpisce però il fatto che fin dall’inizio in esse furono rappresentate parecchi categorie lavorative e classi sociali: in gran parte i vincenziani erano impiegati dipendenti, ma non mancavano commercianti, insegnanti, artigiani, professionisti e studenti universitari; qualche industriale, alcuni agricoltori. L’aiuto alle famiglie povere veniva generalmente dato sottoforma di distribuzione di generi alimentari, legna, vestiario, coperte; contributi per pagare l’affitto o per affrontare spese mediche. Una particolare attenzione veniva data alla formazione dei figli delle famiglie povere, dove spesso molti problemi avevano origine dalla mancanza di uno dei genitori o dall’alcolismo del padre. Era quindi frequente che venissero pagate le rette di collegi e le spese di materiale scolastico; si cercava anche di collaborare con la famiglia nel seguire il rendimento scolastico dei giovani, premiando chi veniva promosso alla fine dell’anno. Un aspetto che veniva tenuto in grande considerazione era che tra i vincenziani stessi prima di tutto ci fosse un clima di amicizia e stima, così che fosse più facile poi andare dai poveri ed esser loro di aiuto.

A Rovereto la prima conferenza fu fondata nel 1913; in seguito, dopo la Prima Guerra mondiale, in vari centri del Trentino si ebbe un grande fiorire di gruppi della San Vincenzo, per cercare di aiutare le famiglie povere che erano aumentate significativamente: Arco nel 1923, altre due conferenze a Trento nel 1929, Lavis e Ala nel 1931, Mori e Caldonazzo nel 1932 ... in queste e decine di altre borgate i parroci, o qualche laico sensibile, riuscì a radunare un piccolo gruppo che unisse l’impegno a formarsi nell’approfondimento della fede a quello della visita al povero. Lo spirito cui si cercava (e si cerca) di ispirarsi era quello del fondatore, che invitava a visitare il povero, a parlare con lui, a dedicargli del tempo, ad aiutarlo economicamente ma soprattutto spiritualmente, con un buon consiglio, un buon libro, un buon giornale, una buona parola. Allora come oggi, le due principali forme di entrate per le conferenze sono rappresentate dalla colletta segreta effettuata dai confratelli e dalle offerte da parte di privati ed esercizi pubblici. Chi si trovi a ripercorrere le vicende della San Vincenzo in Trentino potrà non solo conoscere la storia di un’associazione, ma rileggere gli eventi che hanno caratterizzato un territorio dal punto di vista privilegiato di gruppi che hanno operato cercando di aiutare chi era nel bisogno. Le guerre, i dopoguerra, la nascita di strutture come la Caritas, la migliore organizzazione dello stato sociale, l’alluvione del ’66, la diffusione delle industrie in Val Lagarina e a Trento nord (con la nascita delle conferenze aziendali), i cambiamenti nella Chiesa negli anni Sessanta (con l’ingresso delle donne nelle conferenze e la contestazione), la presenza degli immigrati dagli anni Novanta: tutte vicende con cui la San Vincenzo si è confrontata direttamente.

 Fin dall’inizio non mancarono crisi e difficoltà per le conferenze. Nei primi anni di attività a Trento si ebbero critiche da parte di cittadini che ritenevano che la carità non dovesse venire attuata e che invece spettasse unicamente all’ente pubblico assistere le classi disagiate; fu il vescovo Valussi che nel 1899 intervenne invitando a non dare ascolto a tali osservazioni. Settant’anni dopo, all’indomani del Concilio Vaticano II, ci fu qualche giovane vincenziano che criticò in maniera decisa il modo con cui l’associazione operava: qui la critica si concentrava sul concetto di aiuto economico al povero, che veniva giudicato insufficiente a anacronistico. Si diceva che il cristiano non dovesse tanto provvedere a quello (che spettava e veniva effettuato dall’intervento pubblico) ma alla promozione umana dei poveri. Il discorso fu spesso estremizzato, come si può leggere negli articoli dell’epoca apparsi su vari periodici locali; i toni furono talora poco caritatevoli e le incomprensioni non mancarono. Alla fine molti giovani uscirono dalla San Vincenzo. La terza crisi si può dire sia ancora in corso ed è quella che caratterizza parecchie realtà ecclesiali un un’epoca di secolarismo come la nostra; le conferenze sono rimaste poco più di una decina, rispetto alle più di trenta degli anni Sessanta. Ciononostante continuano la loro attività, consapevoli che il mondo cambia ma che, come dice il Vangelo, “i poveri li avrete sempre con voi” (Mt, 26,11). (L'articolo è scritto da Giovanni, caro amico con cui sono stato per anni nella S. Vincenzo di Trento).
 
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