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Perchč la sinistra insorge a difesa di Rupert Murdoch?
Di Rassegna Stampa - 03/12/2008 - Informazione - 1158 visite - 0 commenti

Abbiamo visto la sinistra italiana insorgere a difesa di Rupert Murdoch e del suo impero mediatico, senza alcun motivo concreto se non la faziosità politica. Ma Murdoch ha proprio bisogno di avvocati difensori? Centra qualcosa con gli ideali della sinistra? Se è ben vero che i canali di Berlusconi non sono qualcosa di cui vantarsi (non tanto per la loro esistenza, quanto per la immoralità di tante trasmissioni) l'invadenza di Murdoch e di Sky non è ancora più pericolosa?

Due baroni d’impero risoluti nel nuocere per quanto è possibile alla Francia con tutto il loro zelo. Né quella dei loro devoti servitori. Da una parte, Rupert Murdoch, 72 anni, numero uno mondiale degli editori di giornali, vicino al quale "Citizen Kane" farebbe la figura di un editore di bollettini locali. Un visionario geniale rafforzato da formidabili successi. Dall’altra, Lord Black di Crossharbour, 58 anni, numero 3 mondiale della stampa scritta, abile condottiero. Murdoch, presidente di News Corporation, pubblica 175 giornali nel mondo, tra cui The Times, The Sunday Times, The Sun, The News of the World nel Regno Unito, il New York Post ed il Weekly Standard negli Stati Uniti. 40 milioni di esemplari alla settimana in totale, venduti in tutti i continenti. Lord Black conta tra le sue pubblicazioni il Daily ed il Sunday Telegraph in Gran Bretagna, il Chicago Sun Times oltre Atlantico, ed il Jerusalem Post in Israele. Rupert Murdoch aggiunge alle offensive delle sue gazzette la forza di percussione delle sue reti televisive sulle due coste dell’Atlantico: Sky TV in Europa e soprattutto Fox News negli Stati Uniti. Le ragioni di questa ostilità sono molteplici. Un’inclinazione culturale, per prima cosa. Con la certezza, per questi ferventi praticanti del liberismo economico, che il "modello anglosassone", come si dice in Francia, è superiore ad ogni altro. Rupert Murdoch vede, all’inverso, nell’Unione Europea "un edificio socialista", dunque "decadente", animato "da burocrati francesi", dunque "inetti". Per lui, "un incubo". La necessità, anche "fondata sulla certezza che Dio è sempre accanto ai grossi battaglioni", di trovarsi nel campo dei vincitori. La priorità agli "affari". La convinzione, infine, che sono degli attori decisivi della storia e che la storia va nel senso voluto dall’America. "L'America (...) è una democrazia civilizzata e illuminata che, generalmente, si sforza di comportarsi in maniera responsabile (...). Non ha sicuramente lezioni da ricevere in termini di moralità pubblica dai francesi e dai tedeschi", spiega, seriamente, Lord Black. I francesi? "Dei lillipuziani che pretendono di essere degli alleati", aggiunge. Il Weekly Standard fornisce a George W. Bush un gran numero degli autori dei suoi discorsi. E' anche il vettore dei "neocons", i neoconservatori francofobi del Pentagono, come Paul Wolfowitz, teorico della dottrina che porta lo stesso nome, che definisce il ruolo politico e militare degli Stati Uniti come quello "di assicurare che nessuna superpotenza rivale si erga contro l’America". L'"Europa potenza" voluta dalla Francia è un ostacolo a questa dottrina. Il Weekly Standard è la Grossa Berta del Pentagono per sradicare questo ostacolo. Si ritrovano gli stessi argomenti sentiti alla NATO, nelle pubblicazioni di Lord Black.

 Il suo ispiratore? Richard Perle, presidente del "Defence Policy Board", comitato consultivo della difesa, legato a Donald Rumsfeld (ministro della difesa del governo Bush, grande sponsor della guerra in Iraq). Araldo della crociata anti-francese, ha sempre un posto d’onore presso Rupert Murdoch e Lord Black. Conosce bene questi due magnati della comunicazione. È salariato del secondo alla testa della Hollinger Digital e nel consiglio d’amministrazione del Jerusalem Post, filiali del gruppo Hollinger International che pubblica il Daily Telegraph nel Regno Unito. Nell’agosto scorso, M. Perle spiegava dalle colonne del Daily Telegraph "perché l’Ovest deve tirare per primo contro Saddam Hussein". È anche intimamente legato al primo attraverso la rete di think-tanks dove si annidano i "neocons" americani. Rupert Murdoch vi ha trovato Irwin Stelzer. Direttore all'Hudson Institute che ne conta diversi, M. Stelzer ha uno spazio sul Sunday Times e ripete lungo le sue colonne il suo sdegno verso la Francia "decadente", che paragona, sfavorevolmente, alla Corea del Nord! Richard Perle è amministratore dell'Hudson Institute. Così come... Lord Black. Qualche mese fa, il Daily Telegraph non ha esistato a qualificare la Francia come un "rogue state", letteralmente uno "stato canaglia". Come l'Iraq, la Corea del Nord e l'Iran, insomma. Nulla di sorprendente se gli stessi concetti rimuginati nelle stesse istituzioni dagli stessi ideologi si ritrovino sui giornali simpatizzanti. Qualche giorno fa, il tabloid New York Post di Rupert Murdoch si faceva beffe dell’"asse dei sornioni" franco-tedesco, espressione ripresa da Richard Perle alla televisione, prima d’indignarsi per l’ingratudine dei francesi, fotografia delle croci bianche di un cimitero americano in prima pagina con questo titolo: "sono morti per la Francia ma la Francia li ha dimenticati". Gli fa eco il Sun, a Londra, che dissertava per l’ennesima volta sulle ragioni per odiare i francesi, e invitava i suoi lettori a partecipare al concorso delle battute più sanguinose sulle "scimmie inebriate mangiatrici di formaggio". Questa "frase" che ha fatto fortuna in America, viene direttamente dai "Simpsons", un cartone animato di successo concepito negli studios Fox di Murdoch. Direttore del Centre for Policy Studies, un think-tank eurofobo, a Londra, Lord Black ossessionato d’altra parte dall’epopea napoleonica, spiegava giovedì davanti a una platea convinta perché il ruolo del Regno Unito è di essere "il principale alleato dell’America". Questa "alleanza unica deve servire le cause della libertà e della crescita economica". È "preferibile essere invidiati a causa dei nostri successi e del nostro attaccamento a dei principi, piuttosto che scadere in compagnia di questi governi per i quali la viltà equivale alla saggezza, l'ingratitudine alla serenità olimpica e la malignità prende il posto dell'indignazione morale". Il riciclaggio di una retorica già letta, mille volte ascoltata. L'importante non è la verità. È la speranza che a forza di martellare lo stesso leitmotiv, finirà per diventare verità. (Rupert Murdoch et Lord Black: Deux serviteurs zélés de la propagande francophobe, in "Le Figaro", 17/02/2003, da http://forums.transnationale.org, traduzione Roberto Bosio)

p.s Di Murdoch va segnalata anche la simpatia ideale verso molte iniziative radicali...

P.P.S Va segnalato anche il tentativo passato della sinistra di accodarsi a Murdoch, per meri fini politici, pur conoscendone le caratteristiche. Scriveva Augusto Minzolini su La Stampa de  19/10/2006: L’ipotesi del «conservatore» Murdoch, dello «squalo» alleato di Prodi e del centro-sinistra fa proseliti, sia pure non entusiastici, anche nella sinistra massimalista: «Io credo - si limita a dire il leader dei verdi e ministro dell’ambiente Alfonso Pecoraro Scanio - che un po’ di cultura anglosassone in questo Paese ci vuole. Certo qualcuno potrà dire che Murdoch nel panorama internazionale è considerato un conservatore. Ma qui siamo in Italia e semmai lui decidesse di proporsi come terzo polo televisivo potrebbe diventare il grimaldello giusto per aprire il mercato. Eppoi Murdoch è un personaggio pragmatico. Non dimentichiamoci che in Inghilterra il Murdoch conservatore ha anche appoggiato il laburista Blair che, sia pure con le sue particolari convinzioni, si presenta comunque come un progressista».

Appunto, per ora è solo “una bella idea”, per usare le sue parole, ma nella mente di Prodi Murdoch potrebbe diventare davvero l’uomo su cui puntare per ridurre l’influenza del Cavaliere sulle tv. Del resto il Professore non ha grosse alternative al momento: Carlo De Benedetti si è defilato e in Italia nessuno è disposto a investire risorse in un mercato insidioso come quello delle tv. Certo le normative europee impedirebbero al tycoon australiano di ereditare i due canali che la legge Gentiloni strapperebbe alla Rai e a Mediaset nel 2008, ma il Professore sa bene che le vie del Signore sono infinite. Inoltre Prodi è convinto che la minaccia Murdoch può diventare un ottimo strumento di persuasione per costringere il Cavaliere alla trattativa.

L’ipotesi, quindi, ha una sua logica. Resta il problema della personalità di Murdoch: è possibile venire ai patti con uno squalo? «Io non so - spiega Gianfranco Fini - cosa abbia in mente Prodi. Capisco che in Italia è difficile trovare qualcuno che vuole davvero prendere i due canali che la riforma Gentiloni toglierebbe a Mediaset e alla Rai. Era girato il nome di De Benedetti ma so per certo che lui non è interessato. Ora si parla di Murdoch, ma Murdoch è uno squalo. Lui vede l’Italia solo come un ricco mercato e per conquistare una quota più alta un personaggio come lui sarebbe pronto a venire a patti col diavolo. Prodi, però, farebbe un grave sbaglio a pensare che Murdoch potrebbe essere il tycoon vicino al centro-sinistra da contrapporre a Berlusconi. Murdoch è un tipo che pensa solo ai suoi interessi».

C’è chi pensa, quindi, che l’arma Murdoch sia pericolosa e difficile da maneggiare. Per il Professore, però, è pur sempre una carta da giocare nella complessa partita che mette insieme le sorti del suo governo e i nuovi assetti televisivi. E, quindi, l’idea di dargli spazio può rivelarsi un investimento per il futuro.

 
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